LA RUBRICA
Intorno al Tennis
Segreti, particolarità e natura delle personalizzazioni.

Articolo di Fabrizio Brascugli


È il sogno di tutti. Giocare con la racchetta di un campione. Quando ero piccolo e mi avvicinavo al gioco del tennis ho desiderato e avuto molte racchette dei miei giocatori preferiti. La Dunlop max 200G di John McEnroe, la Wilson Prostaff di Edberg e tra le mie mani è passata anche una Donnay di Bjorn Borg. I mie compagni di gioco non erano da meno e spesso scambiavamo le nostre racchette. La Rossignol F200 di Mats Wilander e molte altre ancora. Nonostante i primi colpi facessero presagire qualche miglioramento non sono mai riuscito ad eguagliare livello di gioco dei campioni. Ricordo il giorno in cui con la 200G eseguii la mia prima stop volley, era il 1983: la soddisfazione fu seguita dalla sensazione che non avevo ancora acquisito l'abilità per produrle in serie industriale come John McEnroe. Infatti rimangono ancora oggi sporadiche e la causa non posso che ricercarla in me stesso. Oppure questi grandi giocatori possiedono dei segreti che non vogliono rivelare a nessuno?

Potrebbero essere vere entrambe le ipotesi e potremmo azzardare ad aggiungere che anche i grandi idoli del tennis non controllano pienamente il processo del loro gioco, gli sfugge qualcosa, quel qualcosa che rende i loro gesti e i loro colpi estremamente naturali se confrontati con la fatica e le difficoltà che devono superare tutti gli altri. I comuni mortali, seguendo un'interpretazione mitologica. È fuori di dubbio che i giocatori eccellenti siano particolarmente attenti allo strumento con cui scendono in campo, se non per l'estetica, almeno per i miliardi che gli permette di guadagnare. A volte sono maniacali. Pete Sampras non cedette mai alle lusinghe della Wilson nemmeno per ridipingere la propria Pro Staff Original, forse per il timore che una vernice diversa ne cambiasse le caratteristiche o più semplicemente perché preferiva non avere dubbi e desiderava giocare con la racchetta che conosceva bene. Lo stesso del Juan Martin Potro non ha voluto separarsi dalla sua fida K Factor, 95 pollici di piatto. In misura maggiore o minore tutti i giocatori sono molto attenti al loro attrezzo e spesso, se non sempre, lo personalizzano, in base alle proprie caratteristiche di gioco.

Hanno dei segreti? Magari di lieve entità ma li hanno, in fondo una partita può essere decisa da pochi punti, a volte è uno soltanto che segna il cambiamento di un match. Per maggiori dettagli dovremmo chiedere a Nate Ferguson fondatore della Priority One e accordatore dei più grandi tennisti, a lui si affidano Roger Federer, Andy Murray, Novak Djokovic, Gael Monfils, e fino a qualche anno fa anche Pete Sampras e Marat Safin consegnavano le Wilson e le Head 600 alle sue cure. Non è un segreto, invece, che Rafael Nadal abbia chiesto alla Babolat di modificare la propria racchetta, alla quale sono stati aggiunti tre grammi nell’ovale un paio di stagioni fa. Sampras, secondo quanto dichiarato dallo stesso Ferguson, portava la sua Pro Staff leggermente sopra i 390 grammi. Federer aggiunge pochissimi grammi sull’ovale, uno, forse due. Robin Soderling è estremamente attento alla forma del manico. Se si osserva anche con poca attenzione l’ovale della Head di Novak Djokovic non si possono non notare quattro strisce di piombo a ore tre e a ore nove. È difficile dire di quanti grammi si tratti ed i giocatori sono molto gelosi delle loro personalizzazioni, le quali, in ultima istanza, sono segreti professionali e industriali che, quando riguardano la costruzione, sono protetti da brevetti. Anche Nate Ferguson non potrebbe negarlo. Ogni giocatore ha le sue preferenze di grandezza di piatto, bilanciamento e tensione delle corde, la quale viene scelta in base alle condizioni di gioco.

Oltre alle differenze esistono però almeno due analogie: la prima è che tutti i giocatori di livello alto preferiscono racchette head light o al limite equamente bilanciate perché preferiscono privilegiare il controllo e la manovrabilità. La seconda è più interessante. È la modifica che ogni giocatore produce quando impugna una racchetta, infatti avambraccio e mano vanno a comporre un sistema con lo strumento di gioco. Soprattutto la mano che costituisce il punto d’unione. È opportuno chiedersi quindi quali sono le variazioni che una mano genera quando impugna una racchetta. Le racchette sono sensibili alla distribuzione delle masse e una mano ha indubbiamente un peso da offrire, il quale varia con la pressione della stretta e con le caratteristiche morfologiche del giocatore, ma si tratta comunque di un peso aggiunto nel manico, che innesca la relazione sistemica con il giocatore. Nel momento in cui ogni giocatore prende la sua racchetta dalla sacca ne modifica le caratteristiche: sposta il baricentro in un punto più vicino all’asse di rotazione dei colpi, sposta il centro di percussione, varia la posizione di tutti i nodi vibratori, ne aumenta il peso generale e, in linea di massima, la rende più head light. Ogni racchetta perciò cambia ogni volta che viene usata da un giocatore diverso e muta in dinamica di gioco per ogni colpo se si modifica la forza con cui viene afferrata.

La Max 200g in mano John McEnroe è diversa dalla stessa Max 200g che usa un ragazzo al circolo e ogni Max 200g è leggermente diversa da ragazzo a ragazzo. Lo stesso vale per la Pro Staff di Roger Federer, per la Babolat di Nadal e per le Head di Djokovic e Murray. L’abilità con cui i grandi giocatori muovono il braccio e la racchetta è una differenza successiva, la prima grande dissomiglianza nasce quando si compie il gesto di afferrare. Non so quanto questa osservazione possa fare la differenza.

Ognuno potrà formarsi la propria idea anche osservando quali sono le caratteristiche morfologiche più frequenti nelle eccellenze del tennis. Ma forse una cosa è certa: il vero segreto fa parte del campione, che lo custodisce in se stesso.

Fabrizio Brascugli è laureato in scienze politiche con una tesi sulle implicazioni e i problemi connessi all’adozione del concetto di complessità. Un master in economia e integrazione europea. E’ stato dirigente per la pubblica amministrazione. Dal 2004 è istruttore di tennis per il Professional Tennis Registry. Di professione è consulente aziendale sulle tematiche della sicurezza sul lavoro, del marketing strategico e organizzativo e del lifelong learning. E’ iscritto al catalogo dei formatori della Regione Toscana. Collabora per Pianetatennis.com. dove scrive di tennis e per i cui tipi segue avvenimenti e tornei. E’ il creatore e curatore del blog Le ali della farfalla (small details consisting changes), dove scrive di tennis, società e complessità. “La mano di Rod” è il suo romanzo d’esordio, “Storia tragicomica e struggente di un serial killer” segue a ruota.
Nel Tennis: ha allenato Andrea Polidori medaglia d’argento specialità squadra quad, Mondiali Paralimpici 2006.

Ringraziamo l'amico Fabrizio per aver scritto l'articolo di cui sopra appositamente per il nostro sito web.
La passione comune che condividiamo per lo sport della racchetta non conosce confini.